lunedì 28 gennaio 2013

Gioventù nostra


Annuario del collegio Arcivescovile di Trento 1959/1960, n. 26°, pp. 14-18

Da qualche tempo vanno moltiplicandosi convegni di studio, conferenze e trattazioni sulla gioventù d'oggi. Sembra che l'opinione pubblica e la stampa abbiano avvertito la tremenda problematica che la nuova generazione sta creando. Il risultato tuttavia di queste discussioni lascia più d'uno pensieroso, in quanto molti ostentano un certo scetticismo verso questi studi che presentano una gioventù sezionata ed analizzata alla maniera dei chirurghi. Noi, che da anni lavoriamo in mezzo ai giovani, troviamo con difficoltà, sfogliando questa ormai ricchissima letteratura, un punto d'orientamento, perché la parola stessa "gioventù", pur indicando una precisa stagione di primaria importanza nella vita dell'uomo, riesce un'accezione assai generica quando le si vuole dare un volto. Chi viene nominato con l'espressione "gioventù odierna"? La gioventù delle città o delle campagne? Gli studenti delle scuole medie o delle università? Giovani apprendisti o "teddy-boys"? La gioventù delle nostre associazioni cattoliche o i frequentatori dei bars o dei a "juk box"? Gioventù credente o ateista militante? 
Squadra di calcio del collegio arcivescovile (Tratta dall'annuario
del collegio arcivescovile di Trento 1987-88)
Molti osano dare un nome al poliedrico volto di questa generazione: chi la chiama la generazione "scettica", "senza ideali", chi "silenziosa", chi "rumorosa", ecc. ecc. Ma epiteti come gioventù "bruciata, tradita, capricciosa, disadatta, rammollita" o simili, corrispondono davvero alla realtà? Con simile nomenclatura più d'uno penserà che la generazione dei nostri giovani ha qualchecosa di tipicamente suo, ed è che essa non si lascia catalogare da nessuno. Nata durante o subito dopo la guerra, porta con sé lo spavento, l'angoscia e le sofferenze di un triste periodo. E cresce sotto molti aspetti strana e contradditoria timida e scettica, diffidente verso parole e promesse, spesso avventurosa fino alla pazzia o religiosamente e politicamente apatica. 
Forse l'affetto di genitori ed educatori avrebbe con facilità raddrizzato caratteri e salvato alla società dei galantuomini, se un altro fattore non fosse intervenuto a complicare le cose: l'economia, per cui l'adolescenza diventa una merce da trafficare. L'industria moderna tiene di mira la gioventù, evidentemente non con intenzioni educative e formative, ma con l'unico scopo di sfruttare determinate inclinazioni o debolezze, per cavare di tasca ad adolescenti e giovani, e senza scrupoli, quel danaro che essi non hanno ancora guadagnato e che perciò non possono giustamente apprezzare. Così la moderna gioventù è diventata oggetto di un mercato che si vede agli angoli di tutte le strade, nei bars, nei "dancings", nelle sale cinematografiche e da gioco, nelle cassette di "chewing-gum" e "juke-box". Tutto ciò però è una grave offesa, un'ingiustizia che viene perpetrata verso minorenni. Per questo non possono costituire una sorpresa i giovani in "blue-jeans" e o in giacconi neri, come pure non è difficile capire cosa c'è sotto una barbetta esistenzialista, o in una fanciulla dalle scarpette senza tacco, con calzine rosse o nere, e i capelli a coda di cavallo. 
Anche gli alunni che frequentano le nostre scuole sono parte viva di questa generazione. Non vogliamo però discutere qui se essi riflettono in tutto o in parte il quadro sopra accennato, e nemmeno pensiamo di analizzare ulteriormente altri dati. E' opportuno invece rilevare alcuni elementi, che pare siano patrimonio comune della presente generazione e che costituiscono per l'educatore l'appiglio buono per aiutare l'alunno a formarsi un sodo carattere. Un primo aspetto, che nella maggioranza dei casi si presenta nettamente positivo, è il senso di concretezza che manifestano o desiderano i giovani d'oggi. Le belle frasi, il grande cerimoniale non dicono loro che poco o nulla. Il miglior argomento per loro è l'esperienza. Perfino in campo religioso e morale, più che la soda formulazione teorica, ha immediata efficacia un'apologetica spicciola, di ragioni concrete. Se il comandamento di Dio trova una corrispondenza ed una sanzione pratica nella realtà, il giovane è più incline ad accettarlo, altrimenti il suo valore riesce relativo o non conta affatto.
E' chiaro che tale impostazione mentale può riuscire e riesce in frequenti casi dannosa, perché la via dal realismo al positivismo è breve; su questo binario resta sempre aperta la strada verso un certo razionalismo. Il giovane eviterà tuttavia un naufragio, se il genitore e l'educatore tengono d'occhio si-mili scogli: in forza di questo spiccato senso di concretezza si salverà da molte delusioni nella vita.
Tocca inoltre constatare frequenti atti di tale irresponsabilità, da far pensare a una generazione scriteriata che non ha confronti con quella di altre epoche. Come furono le generazioni passate è difficile saperlo, ed è ozioso fare dei confronti. Si può invece osservare spesso il contrario, che cioè molti giovani hanno forte il senso di responsabilità. Sanno cioè di dover contare molto e sopra tutto su se stessi. E non è forse questo una potente leva nella formazione di un carattere e di una coscienza? Il ribellarsi a un certo conformismo o lo stimare la tradizione come qualchecosa di convenzionale e di superato, può portare l'adolescente ad atti inconsulti. Inculcandogli tuttavia il giusto senso dell'onore e del dovere, arriverà rapidamente a risultati positivi, dato che è sentimentalmente incline a capire e apprezzare il suo personale contributo.
Succede anche che qualche adolescente abbia atteggiamenti ed espressioni sfacciate e che certi suoi atti assumano la forma d'impennate da vero maleducato. L'educazione pone a tutti un limite che non si può oltrepassare se non offendendo il prossimo. Si può tuttavia cogliere anche in questo disordine un aspetto positivo: il coraggio di una certa indipendenza. Il rispetto umano e l'opinione altrui sono stati spesso due tiranni, da cui molti giovani, e anche uomini adulti, non hanno mai saputo liberarsi. Questa generazione conosce meno il difetto dell'ipocrisia e non ha affatto interesse all'ipocrisia, manifesta chiaramente e apertamente i suoi sentimenti. Se la sua sventura è nell'essere spregiudicata nel male, mostra però coraggio anche nel bene, e qui è la sua grandezza e la nostra speranza. Più che eternamente brontolare per le inevitabili aberrazioni, cerchiamo di costruire su la sua fierezza una mentalità cristiana.
*** 
Ed ora, a conferma di alcune affermazioni nostre, ci permettiamo stralciare dalla corrispondenza pervenuta alla Direzione in questi ultimi mesi dai nostri ex alunni qualche pensiero caratteristico. Chi legge si renderà conto perché i sacerdoti dell'Arcivescovile trovino cara questa gioventù e lavorino per essa con un certo ottimismo. In quasi tutte le lettere è dominante un'espressione di riconoscenza, che ha tutto il sapore della sincerità, verso la casa che li ha ospitati durante gli anni delle scuole medie.
" ... Sapesse quanto ricordo con nostalgia i bei tempi passati sotto la Sua cara guida! Almeno all'Arcivescovile non ci Si sentiva soli, sembrava quasi di essere in una allegra famiglia, si poteva aprire il proprio cuore con qualcuno che ci capiva. Purtroppo bisogna provare per rendersi conto che le difficoltà diventano sempre maggiori col crescere degli anni. In Liceo ho desiderato l'Università e la conseguente libertà, ho fatto mille progetti sul mio avvenire; ma ora confesso che tutto è rimasto un gran sogno, perché molte sono diventate le preoccupazioni per vincere la dura realtà della vita. In più ci si trova tremendamente soli. Mai come ora si è reso necessario un ideale; e l'unico grande sostegno lo trovo in Dio... ".
(Stud. Un. di Ingegneria forestale) 
Il motivo principale che mi spinge a scriverLe è l'obbligo che sento di ringraziarLa vivamente per tutto ciò che Lei e i Suoi sacerdoti hanno fatto per me per tutti i cinque anni che sono stato ospite all'Arcivescovile. Ora capisco il valore e la necessità di una condotta seria in una comunità. Questa condotta ora mi permette di non abusare della libertà che mi è concessa e di attendere seriamente al mio dovere. Non vorrei che queste righe assumessero una forma di prammatica, ma esprimessero la sincerità dei miei sentimenti... ".
(Stud. Univ. di Economia e Commercio) 
Io devo molto, moltissimo a Lei e a tutti i docenti del Collegio Arcivescovile e più d'una volta, in mezzo a questo caos di Università, ho pensato con molta nostalgia a quel gioiello di scuola, ai professori premurosi, all'ordine e all'armonia di quella casa... La prego di avermi presente qualche volta nelle Sue preghiere, così come io non La dimentico nelle mie... ".
(Stud. Univ. d'Ingegneria) 
... mentre scrivo, penso a coloro che mi seguirono durante gli anni del Ginnasio e del Liceo, a tutta una folla di ricordi, anche tristi, altrimenti non direi la verità. Ma quando si pensa ai momenti belli, non si può far a meno di pensare alle persone cui questi momenti belli sono legati. Allora sgorgano dal cuore sentimenti di benedizione, di riconoscenza, di gratitudine. E mi creda, Signor Direttore, questi sentimenti sono sentiti, sono sinceri. Io vorrei che Lei credesse a questa mia asserzione, anche se, mi perdoni se oso insinuarlo, mi sembra che Lei non possa crederlo, pensando ai miei difetti, a qualche mia caparbia insubordinazione durante gli anni trascorsi in collegio. Vorrei che Lei provasse un po' di gioia che può derivare dai miei sensi di gratitudine, a ricompensa dei Suoi muti e forse incorrisposti sacrifici nei miei confronti... ".
(Stud. Univ. di Medicina) 
Altri traggono dal mondo dei loro ricordi salutari propositi per il loro comportamento nella società in cui operano.
" ... Direttore, gli impegni e i doveri di oggi sono molto diversi da quelli di una volta quando la maggior preoccupazione e direi l'unica, era quella della scuola... Mi permetto di farLe presente che ora vedo e pratico la vita nel modo più ideale che la mia coscienza morale mi suggerisce e cioè sotto il consiglio dei Suoi buoni e efficaci insegnamenti. Cerco sempre di non sbagliare e prego Iddio che mi aiuti a mantenermi sempre sul retto sentiero, perché è così che oggi provo un profondo senso di sollievo e di spiritualità... ".
(Ex alunno della Scuola media, ora abile commerciante) 
" ... Voglio solo dirLe che rivolgo un pensiero di gratitudine al Buon Dio che nonostante i miei errori, la mia situazione complessiva si sia risolta, o meglio, vada risolvendosi in maniera consolante... Mi sono persuaso da solo che dovevo rivedere il valore delle mie convinzioni e ridimensionare lo stile della mia vita interiore. Non fu un lavoro facile: ho attraversato dei momenti di scoraggiamento che mi hanno fatto paura. Ho piegato allora i ginocchi e, come sono stato capace, ho chiesto forza a quel Dio che sentivo ci doveva essere, ma non sapevo dove fosse. Ho pregato a modo mio, non servendomi di nessun libro. E ora, con la preghiera a un Dio che conoscevo solo ufficialmente e non nell'intimità della mia anima, vado acquistando una serenità di spirito che mi porta quella gioia che dubitavo ci potesse essere e credo che sia l'unica vera gioia degna di riempire una vita: ed è quello stato d'animo che deriva dalla certezza di essere in pace con se stessi e con Dio... ".
(Stud. Univ. di Medicina) 
« piace rivolgermi indietro e confrontare il mio "io" di anni fa con quello attuale. Un cambiamento c'è stato: se un ragazzo si affaccia alla Università convinto che l'onestà, la rettitudine, la verità sono cose da seguirsi e da conseguirsi a qualunque costo, e se si sente deciso a restare buono, io credo che questo sia già qualche cosa. E se un'Istituzione ha contribuito in modo rilevante a portare il ragazzo a questa convinzione, credo che essa vada ringraziata di tutto cuore. Devo ringraziare Lei e con Lei tutti i superiori sia del campo scolastico che del campo disciplinare: a questo cambiamento hanno contribuito tutti. Non si può dire: la scuola sì, il convitto no o viceversa; è lo spirito del Collegio da cui tutti possono trarre beneficio, uno spirito che non pretende troppe cose da noi giovani, ma solo di farci diventare uomini onesti e abituarci a fare il nostro dovere. Non dimenticherò quanto Lei ci andava raccomandando: "il dovere e l'onore". A me l'Arcivescovile ha dato l'uno e l'altro: di ciò serbo eterna riconoscenza ... ".
(Stud. Univ. di Medicina) 
... Sono entrato nella conferenza di S. Vincenzo della sezione degli Uni-versitari cattolici: siamo purtroppo in pochi, specialmente del primo anno, ma ci diamo da fare con lena. Questa mattina sono rimasto due ore davanti al "Santo" questuando, talché alla fine ero sfinito e rauco a forza di dire in tono supplichevole: "Per i poveri della S. Vincenzo", come stessi recitando le litenie. Ma la nostra fatica è stata ricompensata: fra tutti abbiamo totalizzato Lire 51.000. Con i soldi così raccolti si può aiutare qualche povera famiglia: ne abbiamo 17 da visitare. Il problema dei poveri mi aveva dato sempre da pensare e sono contento di poter finalmente essere loro utile. Penso poi che sia anche-una buona preparazione per la mia futura missione di medico ... ". 
(Stud. Univ. di Medicina) 
E tante altre lettere, vergate con mano trepida, contengono sentimenti stupendi, che ci rendono cari questi giovani e infondono a chi educa fiducia e coraggio. Ogni giorno li facciamo oggetto di una particolare preghiera, perchè Iddio supplisca con la sua grazia alla povera nostra opera e ci doni dei giovani che siano l'orgoglio dei loro familiari e un po' la nostra gloria.
IL DIRETTORE 




Nessun commento:

Posta un commento