venerdì 1 febbraio 2013

Un eroico obiettore: LEONHARD DALLASEGA (seconda parte)


Chi era lo sconosciuto soldato tedesco?                                                     Torna all'inizio dell'articolo

Qualche anno dopo, anche in Ala, al bivio di Cere di S. Martino, il 27 aprile 1960, fu inaugurato un capitello con la seguente scritta: 
"A DON DOMENICO MERCANTE 
PARROCO DI GIAZZA 
E ALLO SCONOSCIUTO SOLDATO TEDESCO 
CHE IL 27 APRILE 1945
 QUI TESTIMONIARONO IN COMUNE
 OLOCAUSTO 
IL TRIONFO DELLE LEGGI DIVINE
 SULLE BARBARIE DELLA GUERRA"
Don Mercante entra così giustamente nella storia dell'umanità come un eroe e un martire. A questo lui non aveva mai pensato. Era un tipo tranquillo e amabile, di salute gracile, studioso, alieno da ogni ostentazione ma con un concetto altissimo della sua missione. Nella tragica giornata del 27 aprile 1945 non restò timidamente a guardare ma da pastore "buono", cioè coraggioso, mise allo sbaraglio la vita per la sua gente. Noi che abbiamo letto e riletto e discusso le testimonianze di questa tragica vicenda, non riusciamo a liberarci dal pensiero che l'eroico gesto dello sconosciuto soldato tedesco in difesa di don Mercante non è stato improvviso. Nelle sette lunghe ore di marcia verso Ala il soldato ha potuto osservare con attenzione quel pallido prete, esausto, intimorito e anche maltrattato, che non reagiva con atti di ribellione o di disperazione. Ora che conosciamo il suo nome, ci è lecito pensare che non restò indifferente davanti a lui, nutrì certamente un sentimento di pietà e di ammirazione e, forse, colse lungo il cammino un'occasione per rivolgergli una parola di incoraggiamento. 

Leonhard Dallasega con l'uniforme delle SS
E ci riempie di commozione il fatto che fu un trentino e un diocesano. Per anni il nuovo parroco di Giazza, don Erminio Furlani, tentò, con paziente ricerca, di scoprire il nome dello sconosciuto soldato. Alla sua identificazione arrivò mons. Luigi Fraccari di S. Ambrogio di Valpolicella, al quale era stata passata la pratica. Mons. Fraccari, un generoso e coraggioso sacerdote veronese, aveva raggiunto Berlino nel 1944 come cappellano dei lavoratori italiani emigrati in Germania e si era interessato subito alle migliaia di nostri internati per rispondere alle famiglie che si rivolgevano a lui chiedendo notizie dei loro cari. Si era adoperato oltre ogni rischio per venirne a capo; seppe perfino dare un nome alle tombe di 537 soldati italiani rimasti vittime dei lager nazisti. Pregato d'aiuto dal parroco di Giazza, fece ricerche in primo luogo presso il Ministero della Guerra, presso la Croce Rossa Tedesca e la Lega Popolare per la cura delle tombe dei caduti in guerra. Non approdò a molto, ma per esclusione, restringendo lo spazio della ricerca, sentì di trovarsi sulla pista giusta. Quando rientrò a Verona nel 1979 mise insieme pezzo per pezzo, come in un mosaico, i dati raccolti, ogni richiesta e ogni testimonianza. Entrò in relazione con un giornalista di Norimberga, Theo Reuber Ciani, che sul fatto di Ala aveva scritto tre servizi per la rivista "Gong" e posto ai lettori tedeschi la domanda: "Wer ist der Held von Gazza?" ("Chi era l'eroe di Giazza") e poi, ancora, con un regista bavarese, Mario Reinhard, che stava girando un film sulla vicenda. Ciò che all'inizio era semplice supposizione, divenne alla fine certezza: lo sconosciuto soldato tedesco non era più tale, aveva finalmente un volto e un nome. 
Si chiamava Leonhard Dallasega: era nato a Proves, nell'alta Valle di Non, Decanato di Cles, il 15 ottobre 1913, al Maso "Clasett", in una modesta famiglia contadina, formata dai genitori e da altre due sorelle. Chiamato a prestare servizio militare nell'esercito italiano nel giugno 1933, fece parte dapprima del VII Reggimento Alpini, poi dell'XI, con il quale si imbarcò a Livorno, il 6 gennaio 1936, alla volta dell'Eritrea per la guerra contro l'Abissinia. Ammalatosi di tifo, rientrò il 17 giugno a Napoli con un trasporto di malati e feriti e passò un periodo di degenza all'Ospedale di Caserta, per raggiungere poi, guarito e congedato, la famiglia di Proves. Il Dallasega era un giovane per bene, capace, molto affezionato alla famiglia, buon suonatore di chitarra e ben visto in paese. Non aveva frequentato che la IV elementare ma era sveglio e volonteroso. Lavorava di buona lena nell'azienda paterna che offriva lo stretto necessario per campare. Dopo il servizio militare, quando il governo germanico offrì lavoro nei settori dell'industria e dell'agricoltura, Leonhard si unì ai numerosi operai che partirono dall'Alto Adige e dal Trentino; trovò occupazione in Baviera in una fabbrica di tabacchi. 
Nel 1939 optò anche lui con i familiari per il Terzo Reich, non sappiamo se convinto assertore dei diritti della minoranza tedesca nel Tirolo del Sud contro l'oppressione fascista, oppure se travolto, come i più, dalla sfrenata e minacciosa propaganda nazista. In quell'epoca accettò volentieri il posto di contabile presso la Cassa Rurale di Proves che gli permetteva di restare a casa con una discreta posizione economica. 
Nel 1941 si sposò con Maria Herbst, originaria di Nuova Ponente, ed ebbe la gioia di vedere, nel 1942, la famiglia arricchita dalla nascita di una bambina, Elisabetta (Lisl), e, l'anno dopo, di un maschietto, Ewald. Quando nel gennaio 1945 nascono i due gemelli, Helmuth e Othmar, che mori-ranno dopo due mesi di broncopolmonite, papà Leonhard è, da due anni, soldato dell'esercito germanico. 
Dopo il 13 settembre 1943 l'Italia del Nord restò terra d'occupazione sotto il pesante tallone nazista e il Trentino, con l'Alto Adige e il Bellunese, divenne «Zona di Operazione delle Prealpi» (Alpenvorland), praticamente annessa alla Germania. Al 25 ottobre Leonhard, di lingua materna tede-sca, fu richiamato alle armi ed obbligato ad immatricolarsi nelle SS. Dopo tre mesi di addestramento a Münsingen in Germania, la sua compagnia fu inviata in Italia alle dipendenze del Generale Wolff e comandata a Caldiero di Verona. Qui il Dallasega, per la buona conoscenza che aveva della lingua italiana, ottenne l'incarico di portalettere e di capocuoco, mansioni per le quali ebbe a disposizione una bicicletta. Fu presto promosso al grado di "Obergefreiter der Waffen SS" cioè di caporalmaggiore. 
Quando il fronte tedesco crollò, la sua compagnia si ritirò parte verso il Lago di Garda e parte verso Vicenza, per non cadere prigioniera delle truppe corazzate americane che stavano per giungere a Verona. Lui scelse la montagna, meno bersagliata dai bombardamenti alleati ed arrivò così sul fare della sera, del 26 aprile 1945, alle porte di Giazza. Pernottò in un casolare: pare intendesse al mattino del 27 barattare la bicicletta con abiti civili, quando fu raggiunto dalla compagnia dei paracadutisti che fecero poi prigioniero don Mercante. Forse si unì a loro visto il pericolo di essere bloccato dai partigiani della montagna o forse, più probabilmente, fu sospettato di diserzione e obbligato a proseguire il cammino con la compagnia. 
Intanto a Proves, con la fine della guerra, cominciarono a rientrare alle loro famiglie i reduci dalle più disparate regioni d'Europa. Mancava Leonhard e nessuno sapeva dare spiegazioni. La sposa Maria si interessò subito presso i conoscenti, chiese informazioni presso i compagni del marito a Caldaro, a Bolzano e Merano. Raccolse ogni volta espressioni vaghe, brevi descrizioni dei pericoli incontrati dalle truppe tedesche in fuga, oggetto di feroci mitragliamenti da parte degli aerei alleati e di frequenti imboscate tese dai gruppi partigiani. La donna tornava a casa col cuore rotto, profondamente amareggiata, perché si era convinta che più d'uno sapeva ma non voleva parlare. Anche l'anziano padre Angelo si mosse alla ricerca del figlio, andò a Caldiero di Verona da dove era partita l'ultima lettera destinata alla famiglia con data 22 aprile 1945; trovò gente che si ricordava benissimo del biondo portalettere tedesco che ogni domenica andava alla Messa in parrocchia e faceva la Comunione. Gli dissero che era molto buono, che dava frequentemente ai ragazzi affamati del paese una fetta di pane spalmata di margarina o di marmellata. Molti lo avevano osservato con un sentimento di rispettosa ammirazione quando, sul tardo della sera, passeggiava con il rosario in mano nell'orto della macelleria requisita. Ma anche lui con tutti gli altri era partito il 26 aprile e il 28 erano arrivati gli Americani. Il vecchio genitore tornò al paese natale convinto che non avrebbe più visto il figlio, anche se nel cuore non sapeva rinunciare alla speranza d'un suo ritorno. 
Nel 1946 la sposa Maria, insistendo nelle ricerche, ottenne una lettera da un sottufficiale austriaco di Linz, sul Danubio, che le comunicava brutalmente che suo marito Leonhard era stato fucilato in quel di Trento, perché durante la ritirata aveva abbandonato la sua unità. Fu l'ultima notizia, poi più nulla. 
Nel 1952 Maria Dallasega si risposò con Angelo Kerschbamer, un bravo contadino, proprietario di un piccolo maso nella parte sud di Proves ed ebbe da lui quattro figli, tre maschi e una femmina. 
In un numero del quotidiano "Dolomiten" del 20 agosto 1959, Maria lesse dell'inaugurazione del monumento a Passo Pertica in onore di don Mercante e dello sconosciuto tedesco. Ebbe immediatamente la sensazione che quel soldato potesse essere il suo defunto primo marito, perché lo riteneva capace di un gesto simile, ma non poté reperire alcuna prova. In seguito, nel 1965, la sua famiglia si trasferì a Sopramonte di Trento, a lavorare a mezzadria in un grosso podere del professor dott. Enrico Nardelli, rinomato chirurgo di Cles. E a Sopramonte verrà molti anni dopo, precisamente il 15 giugno 1985, mons. Luigi Fraccari a comunicare il giorno e l'ora della morte di Leonhard Dallasega. 

Continua con la terza parte dell'articolo: Una straordinaria lezione di fede e coraggio

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