Nel Trentino, come nel resto anche dell'Italia, la Seconda Guerra Mondiale non ebbe nulla di popolare, fu solo un' imposizione dall'alto partita dalla volontà di un dittatore. La propaganda fascista a favore dell'entrata in guerra a fianco della Germania ne era a conoscenza e pertanto si fece intensa e capillare. L'Istituto di Cultura si diede molto da fare nelle città, nelle campagne e nelle valli, nelle sezioni ricreative e culturali del Dopolavoro presenti anche nei piccoli villaggi, per convincere la popolazione della necessità della guerra che «i popoli giovani», come l'italiano e il tedesco, avrebbero vinto portando nel mondo giustizia, benessere e pace.
La scuola fu sollecitata a preparare il cittadino soldato. La partecipazione alla guerra fu descritta come un'esperienza affascinante ed esaltante, ma le famiglie trentine erano decisamente contro la guerra. I mali causati dalla Prima Grande Guerra erano ancora vivissimi, i morti da essa creati con diecimila caduti e quattordicimila invalidi erano sempre attuali e dolorosi. I contadini trentini non si lasciarono nemmeno adescare dalle proposte fatte loro dall'Ente delle Tre Venezie che andava acquistando dagli «optanti» per il terzo Reich campagne fertili e ben coltivate in Alto Adige. Erano offerte a prezzi buoni, ma i contadini rifiutavano e preferivano trovare un'occupazione nelle industrie tedesche che davano un buon salario. Nel 1941 quattromila trentini andarono a lavorare in Germania, imitando quanto avevano fatto i loro vecchi nelle passate emigrazioni. Naturalmente la cartolina militare, consegnata in massa a tutte le classi dal 1910 al 1921, portò lontano i giovani trentini, in Francia, in Africa, in Albania. Il richiamo viene subito accolto come una disgrazia, strappa maledizioni all'indirizzo del Re e del Duce. Si pervenne presto ad una scissione tra le formazioni fasciste nelle loro divise nere e il soldato scarpone in grigio verde. L'antipatia divenne rabbia quando, nella primavera del 1943 rientrarono dalla Russia i pochi battaglioni degli alpini sconfitti, insonni nel corpo e nello spirito. La divisione Tridentina vi aveva perso undicimilaottocento uomini e la Julia dodicimilatrecentocinquanta: un'immane tragedia! Al Brennero e a Bolzano gruppi di alpini picchiarono i gerarchi fascisti che intendevano salutarli con le solite espressioni patriottiche di vuota retorica. Con loro c'era tutta l'opinione pubblica trentina che disapprovava la guerra e, particolarmente, quella a fianco della Germania nazista.
La guerra, il Duce, il partito fascista cominciarono ad essere odiati anche pubblicamente. Quando il 25 luglio 1943 il Re fece arrestare Mussolini e nominò Badoglio capo del governo, unanimi furono il giubilo e la speranza che la fine della guerra fosse prossima.
Purtroppo l'alleato germanico fu in grado di occupare militarmente l'Italia e così la guerra continuò, anzi si fece più drammatica e più vicina. La delusione della gente fu grande, perché capiva che il peggio stava per giungere ora con i pesanti bombardamenti degli anglo-americani e con la furibonda reazione dei tedeschi alla firma dell'armistizio italiano, avvenuto il 3 settembre.
Il 7 settembre, sul calar della sera, i reparti germanici presenti a Trento e a Rovereto cominciarono a occuparne i punti strategici. Alle tre di notte, sferrano l'attacco alle caserme e in poche ore sono padroni delle due città. Qualche coraggioso ufficiale cerca di organizzare una resistenza, ma è pura follia combattere con soli fucili contro chi disponeva di cannoni e di carri armati. Ci furono quarantotto morti, oltre duecento feriti e migliaia di prigionieri, avviati al campo di aviazione di Gardolo, che poi furono trasportati in Germania.
Il fascismo italiano venne eliminato per sempre nel Trentino, ma subentrò il Nazionalsocialismo tedesco che, qualche giorno dopo, unì le province di Trento, Bolzano e Belluno nell'Alpenvorland, la "zona di operazioni delle Prealpi", praticamente unita al Reich tedesco, agli ordini del Gauleiter del Tirolo Franz Hofer. Questi nominò a Trento un commissario prefettizio nella persona dell'anziano e stimato avvocato Adolfo de Bertolini, con la promessa che le popolazioni trentine sarebbero state rispettate e sarebbero rimaste autonome, se si mantenevano tranquille e non dimostravano ostilità contro le truppe tedesche. (Continua)
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