lunedì 25 marzo 2013

Il clero trentino


Nel dramma degli esuli il ruolo più importante fu svolto dal clero trentino. Centocinquanta sacerdoti di cura d'anime, parroci e cappellani e religiosi, decisero senza indugio di condividere il destino delle loro popolazioni e partirono insieme. In taluni casi se ne andarono anche loro portando con sé solo quanto avevano indosso, dimenticando perfino il breviario e senza attendere istruzioni in proposito dall'Ordinariato Vescovile e senza procurarsi lettere commendatizie per la diocesi e per le parrocchie che li avrebbero ospitati. 
Non vollero abbandonare il loro popolo. Più ancora delle autorità civili e militari, furono loro il primo vero, grande e generoso aiuto per i 75.000 profughi trentini. La loro opera, quando i treni cominciarono a scaricare all'interno dell'Impero le masse degli sfollati, divenne decisiva, la più preziosa. I sacerdoti trovarono fortunatamente immediata ospitalità nelle canoniche o presso le famiglie religiose cattoliche delle zone raggiunte. Trovarono quasi dappertutto porte aperte e un'accoglienza fraterna che onora il clero boemo e austriaco. Non chiedevano molto, solo di avere un letto per la notte. Di giorno, a piedi o su carri o in treno erano continuamente in giro a trovare la loro gente, dispersa magari in 20-30 località diverse, distanti anche trenta chilometri, priva di qualsiasi conoscenza della lingua boema e tedesca. Divennero immediatamente lo strumento d'assistenza più tempestivo e più efficace, sul quale si appoggiò pure l'autorità locale e quella centrale del Governo con totale affidamento. 
Siccome la maggior parte del clero conosceva le parole più comuni e le strutture grammaticali della lingua tedesca, la sua opera divenne indispensabile. I parroci si trasformarono in mediatori tutto fare, che i profughi cercavano con la massima fiducia per ogni sorte di problemi, sia spirituali che materiali. Divennero i portavoce e gli interpreti delle più svariate richieste presso le amministrazioni locali, Comuni e Capitanati. Bisognava provvedere di paglia i dormitori dei profughi, procurare viveri, cercare coperte per le notti ancora fredde, sistemare gli ammalati negli ospedali. Bisognava organizzare i soccorsi, sostenere i profughi nei loro disagi e nei loro diritti, riunire le famiglie divise, cercare lavoro per gli uomini anziani e per le donne giovani, creare buoni rapporti con l'autorità civile locale. 
In un secondo tempo l'opera dei sacerdoti si fece più personale, più intima: necessitava consigliare. confortare, organizzare un'azione pastorale che aiutasse i profughi a non disperare, ad aver pazienza, a farsi stimare e rispettare dalle popolazioni ospitanti. L'incontro domenicale della messa, favorito dal clero indigeno con grande disponibilità, quello delle confessioni, distribuite in ore opportune anche nei giorni feriali, la premura di offrire una cultura religiosa ai bambini e ai fanciulli, tornarono ad essere i momenti più importanti e più fruttuosi per il sostegno morale dei profughi. 
Il Vescovo mons. Endrici intuì immediatamente che l'assistenza ai profughi non si poteva lasciare alla generosa iniziativa dei singoli parroci, ma andava coordinata dall'alto. Nominò subito un Commissario Vescovile nella persona di don Germano Dalpiaz che fino a quel momento era il responsabile dell'ufficio amministrativo della Curia. Fu una scelta felicissima, per le doti manageriali dell'uomo e per la buona conoscenza che aveva della lingua tedesca. Fu inviato fin dai primi giorni del grande esodo a Praga e poi a Vienna, munito di ogni delega, perché in accordo con i vescovi locali organizzasse il complesso lavoro d'assistenza. (Continua)

Nessun commento:

Posta un commento