martedì 12 febbraio 2013

4. E' ancora angoscioso il ricordo dell'invasione del 1702

Per un terzo motivo la Rivoluzione francese incontrò nel Trentino avversione e ostilità, proprio perché veniva dalla Francia. A novant'anni di distanza, nella tradizione delle popolazioni del Basso Trentino era ancor vivo il ricordo del passaggio dell'esercito del maresciallo Luigi Giuseppe Vendòme, al tempo della Guerra di successione spagnola, quando la Francia dichiarò guerra all'Austria. Nel luglio del 1702, l'armata francese era penetrata nel Trentino travolgendo la debole forza che le comunità di valle le avevano opposto. Vendóme intendeva congiungersi, nel cuore del Tirolo, con le forze dell'alleato bavarese. Quando fu informato che tali forze erano state respinte e in gran parte distrutte in quel di Vipiteno, decise di non rischiare più oltre da solo e si fermò a Sopramonte e Piedicastello, sulla sponda destra dell'Adige, intenzionato ad occupare Trento.
Ex voto del 1703 rappresentante la città di Trento con le bombe che
vengono lanciate dal Dos Trento. Il testo latino riporta: "All'addolorata
madre di Dio, a San Vigilio e agli altri Patroni di questa Diocesi, questo
quadretto che aveva promesso in voto, allorché la città era sconvolta
dalle armi del nemico, in segno di sincera gratitudine per la salvezza
personale e della patria dona-dedica
(segue firma illeggibile)"
Per dieci giorni, dall'1 al 10 settembre, fece bombardare la città, intimando inutilmente la resa. L'11 settembre dovette rinunciare e ordinò all'esercito la ritirata, che avvenne con il saccheggio e la distruzione dei paesi situati sulla sua rotta: Piedicastello, Sopramonte, Baselga e altre località nella Valle dei Laghi furono dati alle fiamme. Già nell'avanzata delle truppe francesi le devastazioni, le ruberie, le rappresaglie erano state così disumane che fra la gente del Basso Trentino il solo nominare «i Francesi» restò motivo di spavento, di esecrazione e di odio. Nel paese di Brentonico, per primo saccheggiato, fino all'inizio del nostro secolo, restò proverbiale un modo di dire dei genitori e dei nonni per tacitare i bambini piagnucolosi, legato alla tristissima reminescenza storica: «Non piangere, sennò vengono i Francesi e ti portano via». Anche nel resto del Trentino il ricordo dei francesi perdurò acerbo fin verso il 1740 per il pagamento d'un'annuale imposta a copertura delle enormi spese di guerra sostenute.
Un secolo dopo, alla notizia che l'esercito della Rivoluzione era giunto ai confini del Trentino, allora Tirolo, e minacciava di entrare, lo stato d'animo delle popolazioni era quello dei tempi di Vendóme, pieno di terrore. L'arciprete Degara di Arco scrive, nella sua cronaca, che bastò un falso allarme perché la gente fuggisse sui monti, a grande precipizio, abbandonando anche la coltura dei bachi da seta; e l'avvocato Francesco Fiori di Riva, nel libro «Cronichetta Rivana 1793-1813», riferisce: «Oggi, 30 maggio, si sparse la voce che i Francesi sono giunti a Biacesa. Nessuno può immaginare lo scompiglio e l'agitazione di questi abitanti, i quali si aggiravano come pazzi, chi qua, chi là, chi su, chi giù. La mia famiglia andò a Castel Campo, per di lì passare a Bolzano». Ma anche il curato di Mattarello, Gianantonio Fontana, nelle sue «Memorie», annota come, nel 1796, fu costretto a sospendere i lavori di costruzione della nuova chiesa: «In maggio si fece qualche lavoro di stuccatura nell'interno, ma il tutto rimase interrotto dalla vicinanza de' nemici francesi e dal continuo passaggio, ripassaggio, ritirate e movimenti delle poderosissime armate imperiali, ed in seguito dall'invasione de' Francesi, cosicché non si pensò alla fabbrica, ma piuttosto ognuno alla propria salvezza, regnando dappertutto il disordine, gli orrori con danni immensi, con mali inauditi in ogni genere, con epidemie distruggitrici sì di animali che di uomini. Battaglie, spogli, tutto in gran parte. Anno per noi e per tutta l'Europa sempre memorabile, terribile senza esempio». (Continua)

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