Un secondo aspetto rendeva la Rivoluzione francese inaccettabile: si presentava al mondo trentino, religiosissimo, con il marchio dell'ateismo e dell'odio antireligioso. La religione era, da secoli, uno dei pilastri della cultura popolare trentina: la popolazione era attaccata alle sue chiese, ai suoi santi, al suono delle campane in festa o in lutto. Un ribaltamento della fede religiosa, con l'introduzione del culto della Dea Ragione e dell'Ente Supremo, fu considerato nel Trentino opera diabolica da respingersi in maniera assoluta. Perfino in Francia, però, la Rivoluzione fallì sotto l'aspetto religioso, né la persecuzione contro il clero refrattario, né il mutamento dei nomi dei mesi e l'introduzione delle decadi al posto delle domeniche riuscirono a cancellare una sagra di paese.
I Girondini e Giacobini francesi si ripromettevano un grande successo nell'esportare all'estero gli ideali rivoluzionari sottovalutando le conseguenze della lotta antireligiosa. Quest'idea della Rivoluzione e della guerra oltre i confini della patria non fu condivisa da uno dei principali artefici della Rivoluzione stessa, Massimiliano Robespierre, che in un discorso del gennaio 1792 la tacciò di ingenuità e la considerò, addirittura, pericolosa: «Nessuno — dichiarò Robespierre — ama i missionari armati. I1 primo consiglio che danno la natura e la prudenza è quello di respingerli come nemici». E in questo fu facile profeta, perché gli ideali portati e difesi dalle baionette dei soldati non hanno mai avuto forza di convincimento.
La prova venne, clamorosa, poco dopo, quando nella primavera del 1796 l'esercito di Napoleone invase l'Italia. Se a Milano ci fu qualche consenso da parte di chi sperava in un nuovo governo autonomo repubblicano, l'opposizione delle masse popolari fu generale e si accentuò ancora di più nell'Italia centrale e meridionale. Dietro le conquiste dell'esercito e le conseguenti devastazioni e spogliazioni la forza ideologica della Rivoluzione si spense ben presto del tutto, mentre presero vigore la ribellione e l'insorgere dei sentimenti nazionali dei popoli conquistati. Robespierre non poté constatare la verità della sua affermazione: un paio di anni prima, il 28 luglio 1794, lui che aveva sognato un mondo più libero e più giusto, fu giustiziato con altri ventidue compagni sotto la ghigliottina, tragico risveglio dopo un bel sogno. (Continua)
I Girondini e Giacobini francesi si ripromettevano un grande successo nell'esportare all'estero gli ideali rivoluzionari sottovalutando le conseguenze della lotta antireligiosa. Quest'idea della Rivoluzione e della guerra oltre i confini della patria non fu condivisa da uno dei principali artefici della Rivoluzione stessa, Massimiliano Robespierre, che in un discorso del gennaio 1792 la tacciò di ingenuità e la considerò, addirittura, pericolosa: «Nessuno — dichiarò Robespierre — ama i missionari armati. I1 primo consiglio che danno la natura e la prudenza è quello di respingerli come nemici». E in questo fu facile profeta, perché gli ideali portati e difesi dalle baionette dei soldati non hanno mai avuto forza di convincimento.
La prova venne, clamorosa, poco dopo, quando nella primavera del 1796 l'esercito di Napoleone invase l'Italia. Se a Milano ci fu qualche consenso da parte di chi sperava in un nuovo governo autonomo repubblicano, l'opposizione delle masse popolari fu generale e si accentuò ancora di più nell'Italia centrale e meridionale. Dietro le conquiste dell'esercito e le conseguenti devastazioni e spogliazioni la forza ideologica della Rivoluzione si spense ben presto del tutto, mentre presero vigore la ribellione e l'insorgere dei sentimenti nazionali dei popoli conquistati. Robespierre non poté constatare la verità della sua affermazione: un paio di anni prima, il 28 luglio 1794, lui che aveva sognato un mondo più libero e più giusto, fu giustiziato con altri ventidue compagni sotto la ghigliottina, tragico risveglio dopo un bel sogno. (Continua)
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