Il sacrificio Nelle ultime giornate dell'aprile 1945, a Giazza Veronese nell'alta Valle d'Illasi, c'era, ad ogni ora, gente sulla piazza che osservava il passaggio di reparti tedeschi in fuga verso i valichi alpini. Con l'appoggio di massicce incursioni aeree che frantumavano sotto una valanga di ferro e di fuoco ogni resistenza le colonne corazzate americane e inglesi, superato il Po, dilagavano ora in Lombardia. È il momento del crollo definitivo del fronte tedesco, e chi può, fugge verso il Nord.
Don Domenico Mercante, parroco di Giazza |
Il 27 aprile, di buon mattino, è in marcia verso Giazza una compagnia germanica di circa cento uomini formata, in prevalenza, di paracadutisti e carristi e da alcuni elementi delle SS. È bene armata e vuole raggiungere Passo Pertica per scendere ad Ala, in Val d'Adige. Una formazione partigiana, nascosta nella zona, intende fermarla alle porte di Giazza e disarmarla. Avvertito che in questo modo un grave pericolo incombe sul paese, il parroco di Giazza, don Domenico Mercante, accompagnato da un brigadiere della milizia forestale, si fa incontro ai due gruppi, per convincere i partigiani a non provocare i tedeschi in ritirata e per invitare i tedeschi a non fare del male alla pacifica popolazione. In testa alla compagnia vi sono due ufficiali che ascoltano i due "parlamentari" senza tuttavia dare alcun peso alle loro spiegazioni. A conoscenza che nella zona operano partigiani, obbligano i due a mettersi in cammino davanti ai soldati per farsi scudo con loro contro un improvviso attacco nemico. In particolare tengono d'occhio don Mercante, ostaggio prezioso che può assicurare loro via libera. All'altezza del cimitero di Giazza un comandante partigiano, Beniamino Nordera, balza sulla strada e ordina agli ufficiali di fermarsi e consegnare le armi, minacciando, in caso contrario, di far intervenire i compagni nascosti nel bosco. Per tutta risposta la raffica di un mitra lo stende a terra. Dalla foresta si risponde con una nutrita sparatoria che non fa vittime ma che allarma ancora di più gli ufficiali. Adesso ritengono che don Mercante sia un capo partigiano o un loro stretto collaboratore e perciò lo trattengono, promettendogli di lasciarlo andare appena saranno al sicuro oltre il Passo Pertica, nella Valle di Ronchi.
Mentre il brigadiere ed altri due ostaggi riescono a svignarsela durante una successiva sparatoria, don Mercante, tenuto continuamente sotto controllo e minacciato, è obbligato ad accompagnare i paracadutisti per ore ed ore giungendo con loro, sfinito, fino ad Ala: sono circa le cinque pomeridiane del 27 aprile 1945. La compagnia si ferma nel rione di San Martino, al bivio di Ceré, dove parte la strada per Pilcante. Il capitano, ottenuta l'autorizzazione dal comando locale delle SS di fare quello che voleva con l'ostaggio, decide di fucilarlo lì, al bivio, sul cratere scavato da una delle tante bombe d'aereo cadute nei frequenti bombardamenti americani che dal novembre '44 all'aprile del '45 avevano martellato la stazione ferroviaria e i ponti di Ala. Quando si forma il plotone d'esecuzione, un caporalmaggiore delle SS riceve l'ordine di farne parte; ma egli si rifiuta ed ha parole di difesa per il
parroco don Mercante. "Qui si fucila un innocente, — afferma — questo è un assassinio!". Il capitano gli chiede se parla così perché è un cattolico e, ricevuta risposta affermativa, gli ripete seccamente l'ordine. Il caporale rinnova il suo rifiuto. Un testimone presente lo sente dire: "Sì, sono cattolico, ho moglie e quattro figli, ma preferisco morire piuttosto che fucilare un sacerdote".
Viene punito a norma della legge marziale di guerra che non tollera un atto di disubbidienza al comando di un ufficiale. Assiste alla fucilazione del parroco; poi è la sua volta: degradato, privato dei documenti personali, con le mani appoggiate dietro la nuca, ritto sul cumulo di terra sconvolta dalle bombe, lo si sente ancora ripetere: "ma ho quattro bambini", quando la raffica del mitra lo abbatte nelle piccola fossa del cratere, accanto al corpo senza vita di don Domenico Mercante. Le due salme vengono abbandonate lì, sommariamente coperte da alcune patate di terra. In seguito, alcuni contadini, informati dell'accaduto, pongono dei sassi a forma di croce su quel tumulo. Il 3 maggio, dopo la partenza delle truppe germaniche da Ala, le due salme vengono esumate dalla pietà locale e trasportate nella cella mortuaria dell'Ospedale Civile. Da Giazza arrivano un paio di uomini a prendere la salma del loro parroco e, portando a spalle la bara appesa ad un palo, ripercorrono faticosamente la strada per Val di Ronchi fino a Passo Pertica e poi fino alla chiesa del paese, accolti dai mesti rintocchi a morto delle campane e dalla costernazione e dal pianto di tutta la popolazione.
Il corpo dello sconosciuto soldato viene sepolto dapprima nel cimitero vecchio di Ala e poi nel nuovo, al cippo N. 5, ben distinto dalle tombe di altri otto caduti tedeschi. Il cappellano dell'Ospedale di Ala, fratello Stefano Girardi e il custode del cimitero, Giovanni Mabboni, dichiararono per iscritto di non aver trovato nelle tasche del soldato alcun documento di identità se non un rosario di grani neri, un astuccio di vetro con la fotografia di una donna e, sotto la camicia, una crocetta di legno e metallo bianco con catenina, oggetti che preferirono lasciare addosso al caduto. Fu seppellito con grande partecipazione di popolo e la sua tomba ebbe continuamente fiori da mani sconosciute, fino al 15 settembre 1956, quando i suoi resti, chiusi nel sacco catramato N. 567, furono trasportati da una Commissione germanica al cimitero tedesco di Merano e seppelliti sotto il cippo N. 1018. Tra le ossa c'era ancora un pezzo di duro panno grigio con la sigla metallica ad angolo corrispondente al grado di caporalmaggiore.
Nel 1959, il 16 agosto, a Passo Pertica, il Vescovo di Verona, Monsignor Giuseppe Carraro, benedice un pilastro marmoreo dedicato alla memoria di don Mercante e a quella dell'ignoto soldato germanico. Sono presenti personalità italiane e tedesche. L'avvocato Nerino Benedetti, presidente del Comitato per le Onoranze, tiene il discorso commemorativo che conclude con queste parole: "L'esile figura del sacerdote di Cristo, che per amore portato alle anime a lui affidate ha incontrato la morte, e l'immagine del fiero soldato tedesco, che senza batter ciglio e a testa alta ha affrontato il mitra spianato contro di sé per un supremo dovere di coscienza e di umana fratellanza, sono oggi unite nel nostro ricordo commosso, nella nostra gratitudine, nel nostro impegno solenne di essere meritevoli del loro sacrificio e del loro esempio... Vestivano la diversa divisa di due eserciti tanto fra loro dissimili, ma i loro cuori battevano i palpiti di una medesima fede. A loro sia gloria eterna!".
Continua con la seconda parte dell'articolo: Chi era lo sconosciuto soldato tedesco?
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