Intervista a Ida
Dalponte
Sorella di Monsignor
Lorenzo Dalponte
"Era una persona così umile che ho capito la sua grandezza solo dopo la sua morte"
Che rapporto aveva don
Lorenzo con i suoi genitori?
Don Lorenzo ebbe sempre
un buon rapporto con i suoi genitori e in particolare con la madre a
cui confidava tutto. Il padre gli voleva bene ma era una persona di
poche parole. Ricordo che il papà non voleva che andasse in
seminario perché avrebbe dovuto proseguire i lavori in campagna come
agricoltore.
A questo proposito posso
raccontare un aneddoto: alla morte del fratello Federico, che aveva
solo 12 anni, la famiglia, come era usanza a quel tempo, non
partecipò al funerale. Solo don Renzo che in quel periodo
frequentava già il seminario andò al funerale. Tornato dal funerale
chiese al padre di andare con lui sul cimitero vicino alla chiesa
soprastante il paese di Vigo Lomaso. Andarono così a piedi assieme
al cimitero. Quando arrivarono sulla tomba il padre gli disse di
promettere davanti al fratello di stare a casa. Don Renzo mi raccontò
che il Signore gli mise in bocca queste parole “E' per la
campagna papà?”. Il papà rispose affermativamente e allora
Lorenzo disse “Papà, mi manca un esame per diventare maestro e
a livello finanziario ti aiuto di più facendo questo lavoro rispetto
che a usare la zappa”. Il padre allora tacque e poi gli disse:
“Vai per la tua strada che io non ho il coraggio di dirti di
no”. In qualsiasi altra cosa don Renzo avrebbe obbedito al
padre ma nella vocazione non aveva il coraggio di dire di no al
Signore.
Ricorda qualcosa del
periodo trascorso da mons. Dalponte in gioventù presso il Seminario
a Trento?
Don Renzo passò alla
storia per la nostalgia che patì in seminario. Il dottore dopo
averlo visitato disse che bisognava mandarlo a casa per le
condizioni fisiche in cui era e così prepararono le valige.
In seminario oltre a un
fratello di mio marito che andò a salutarlo c'era anche un altro
giovane di Vigo Lomaso che era più energico. Incontrando Lorenzo sul
punto di partire gli chiese per quale motivo se ne andasse. Alla
risposta di don Renzo il giovane gli disse “di dare una sberla
alla nostalgia e di andare a dormire”. Così Lorenzo riuscì a
superare quel momento di difficoltà e restò in seminario.
Dopo questa esperienza
vissuta in gioventù, quando diventò direttore del Collegio
arcivescovile il primo giorno che arrivavano i ragazzi non si
preoccupava di quelli che giocavano ma di quei due-tre che erano
seduti da soli sulle scale isolati dagli altri. Ancora oggi molti
studenti ricordano che il primo giorno di scuola quando soffrivano di
nostalgia li accoglieva dicendogli che se avevano nostalgia erano
suoi fratelli poiché anche lui l'aveva subita in gioventù. E gli
esortava dicendo “tu non sai neanche cos'è la nostalgia perché
ora il sabato tornate a casa.. una volta, quando io ero giovane, si
tornava a casa il primo ottobre e a Natale”.
Cosa si ricorda del
periodo trascorso da mons. Dalponte dapprima a Cunevo e poi a Zurigo
e a Friburgo?
Durante l'estate i
seminaristi passavano obbligatoriamente circa un mese a Cunevo in
ritiro presso una specie di castello di proprietà del seminario
chiamato “La Santa”. Fu qui che il parroco di Cunevo e i
dirigenti del Seminario conobbero Lorenzo e dopo l'ordinazione
sacerdotale lo ritennero la persona più adatta per avviare i lavori
del nuovo oratorio. Mons. Dalponte restò a Cunevo 2-3 mesi perché
si sapeva già che non sarebbe andato in cura d'anime ma era
destinato a studiare.
Del periodo trascorso a
Zurigo non so quasi niente. Ricordo soltanto che fu trasferito a
Friburgo a causa dei tanti impegni con la comunità degli emigrati
italiani che avevano causato un peggioramento della sua salute.
Ritornava a Vigo Lomaso talvolta per donare il sangue alla madre che
era anemica.
Dopo aver conseguito la
laurea in germanistica a Friburgo ricordo che tornato a Vigo Lomaso
la mamma lo interrogò sul terrazzo riguardo il periodo trascorso in
Svizzera compatendo le difficoltà che aveva dovuto superare. Alle
domande della madre don Renzo rispose: “un giorno non stavo bene
e mi misi in testa che non sarei più riuscito a proseguire e allora
sai cosa feci? Mi misi a piangere..” e lì in quel momento
venne da piangere a tutta la famiglia escluso il padre.
Conosce qualche
aneddoto relativo ai suoi numerosi contatti con gli studenti durante
la dirigenza del collegio arcivescovile?
Una volta si ammalò e fu
portato all'ospedale di Tione. Il medico che era stato un suo alunno
gli rinfacciò scherzosamente che durante la sua permanenza
all'arcivescovile “eravate molto severi”. Don Renzo
rispose: “Si, ma tu non sai il perché; voi sostenevate gli
esami con una commissione statale e per chi veniva dalle scuole
private erano molto più lunghi e difficili; per questo dovevamo
essere molto severi”. A questa risposta il medico concordò con
mons. Dalponte.
Ricordo inoltre un
aneddoto relativo all'alluvione di Trento del novembre 1966. Avevo
letto sul giornale la testimonianza di una donna che diceva: “oggi
è venuto da me un pretino giovane con una squadra di ragazzi muniti
di badile e mi ha chiesto se avevo lavoro per loro”. Solo dopo
scoprii che si trattava proprio di don Lorenzo con i suoi ragazzi
dell'arcivescovile. Trattava gli studenti come dei figli.
Cosa faceva don Renzo
quando tornava talvolta a Vigo Lomaso nel fine settimana?
Diceva sempre messa
quando tornava a Vigo Lomaso. La mattina andava in Val Lomasona in
passeggiata e poi tornava per celebrare la messa. Faceva prediche
davvero interessanti con battute e continui riferimenti
all'attualità. Citava spesso le sue ricerche storiche legate alla
nostra valle come ad esempio quella della collana della Madonna di
Dasindo.
Quando arrivava con la
sua macchina dicevo ai miei figli “è arrivato lo zio!”.
Mio figlio Fabio, che era il più tremendo, usciva dalla porta
dicendo tra sé: “Adesso vorrà vedere anche i compiti!”.
Spesso infatti aiutava i nipoti nello svolgere i compiti.
Che legame aveva don
Renzo con gli Schützen?
Il
vescovo lo mandò a fare l'assistente spirituale degli Schützen
perché conosceva molto bene la lingua tedesca. Si legò molto
profondamente agli Schützen e spesso lo chiamarono in occasione di
celebrazioni o manifestazioni. Ricordo che mio padre non voleva
sentire parlare degli Schützen perché aveva combattuto la II guerra
mondiale con i tedeschi. Don Renzo mi diceva spesso che non bisognava
confondere i tedeschi della Germania con quelli dell'Austria. Le
atrocità furono perpetrate dalle S.S. e non dagli Schützen.
Il
suo legame con gli Schützen riguardava principalmente il lato storico
e la difesa dei valori che stavano alla base di questo movimento e
non tanto uno schierarsi politicamente. Ricordo in particolare un
aneddoto sul pensiero politico di monsignor Dalponte. Quando compì
gli 80 anni, già ammalato, era a Tressilla di Pinè dalla sua
infermeria Livia Avi da cui era stato invitato per 15 giorni. Un
giornalista della regione andò a intervistarlo e gli disse. “Lei
come mai viene sempre in provincia a chiedere sussidi per i suoi
studenti o per i libri? Tanti suoi colleghi chiedevano di
modificare leggi o criticavano l'operato della provincia.. Don
Renzo Rispose “A me la politica non piace”. “Perché?”
- chiese il giornalista - “Perché abbiamo un governo che non mi
piace; abbiamo fatto ridere il mondo: l'Italia ha stabilito
la festa nazionale il giorno 24 maggio quando entrò in guerra
durante la I Guerra mondiale. Anche gli altri stati del mondo
hanno indetto un giorno di festa nazionale ma alla fine della guerra
e non all'inizio”.
Cosa le resta di
Monsignor Dalponte?
Senza dubbio la sua
profonda umiltà che emerge da tutte le cose in cui fu impegnato. Mi
rincresce dirlo, ma credo di aver capito la sua grandezza solo dopo
la sua morte. Mi ha colpito il viavai di persone, ex studenti e amici
che visitarono la camera mortuaria e anche le persone che c'erano qui
a Vigo Lomaso in occasione del ricordo dai dieci anni della sua
morte.
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