lunedì 25 marzo 2013

Prof. don Emilio Cipriani (1872-1952)

Nativo di Marter in Valsugana, fu consacrato sacerdote nel 1896. Laureatosi ad Innsbruck in lettere classiche, insegnò regolarmente nelle scuole del Collegio Vescovile, Partì da Trento il 25 maggio 1915: con un lungo treno dove erano sistemate le famiglie dei portalettere della città e gli ammalati dell'ospedale di Riva. Come si rileva dalle sue lettere all'Ordinariato, fu un viaggio di cinque giorni, pesantissimo per tutti, ma ancora di più per le madri lei lattanti che alle stazioni chiedevano disperatamente un po' di latte. Alla partenza da Salisburgo il treno conteneva un migliaio di persone. Nel viaggio verso Landskron in Boemia fu diviso tre-quattro volte. Alle stazioni c'erano i Capocomuni del distretto che si prendevano chi 30, chi 40, chi 50 profughi. Così i vagoni si svuotavano. Don Cipriani restò sugli ultimi quattro carrozzoni, con due suore e 46 ammalati che provenivano dall'ospedale di Riva: vecchi impotenti tra i 50-80 anni, alcuni epilettici e tubercolotici e cinque pazzi. C'erano anche sei orfanelli e un centinaio di persone, tutte di Marco in Valle Lagarina.
A Landskron, nella diocesi di Königgrätz, come ebbe a scrivere, «l'accoglienza fu commoventissima. Autorità, signori, signorine si precipitarono verso il treno. Prendevano di peso i poveri vecchi tra le braccia per aiutarli a discendere e prima ancora che facessero un passo accostavano alle loro labbra bicchieri di latte». Erano digiuni da 24 ore. Il capocomune fece trasportare con carri 10-15-20 persone nei grandi masi, collocandole presso famiglie e anche in osterie dove c'era uno stanzone libero. 
A don Cipriani, ancora alla stazione, si avvicinò una povera operaia, con tre figlie e due figli giovanissimi che volevano aiutare, e gli offerse alloggio a Novy Byzov che lui accettò con gratitudine. Il giorno dopo si presentò al decano, al sindaco, al commissario di polizia, «tutte persone bene intenzionate», andò a visitare in città la sistemazione degli ammalati e delle suore. Dopo sei giorni poté dire la Santa Messa e nella sua lettera confessa di «aver innondato di lacrime le Sante Specie». 
Poi inizia i suoi viaggi apostolici, perché la sua gente era dispersa in 49 villaggi e lui si era prefisso di visitarla una volta alla settimana. Da per tutto opera da interprete e da intermediario, cercando di procurare miglioramenti immediati nei casi più precari. In poco tempo gli riesce di creare ottimi rapporti con tutti. I profughi lo accolgono «colle lacrime della consolazione», ed i Boemi, «non sono solo buoni, sono ottimi - scrive: tutti salutano, tutti ormai mi conoscono, tutti mi amano per ché mi hanno visto in chiesa piangere dirottamente. Dio si serve di tutto, anche delle debolezze umane».
Nelle lettere dell'autunno del 1915 nominò spesso la Pastorale del Vescovo Endrici. Ne fa il testo ispiratore della sua cura d'anime, afferma di leggerla e commentarla spesso tra la commozione generale. Anche negli anni successivi alla guerra tiene un ricordo vivo, quasi nostalgico della sua lunga permanenza a Novy Byzov, al n. 22, presso la famiglia Jablons-keho. (Continua)

Nessun commento:

Posta un commento