Annuario del collegio arcivescovile di Trento, 1969/1970, n. 36°, pp. 30-31
Da un'inchiesta dell'U.N.E.S.C.0 viene documentato che la causa principale del sottosviluppo nel mondo è da ricercarsi nell'ignoranza e nella mancanza d'istruzione. "Ad un affamato non dare solo un pesce, ma insegnagli a pescare", dice un sapiente proverbio cinese. Ed in effetti la persona istruita è più preparata e meglio armata nell'affrontare e risolvere positivamente le inevitabili difficoltà della vita; è in grado anche di difendere un suo diritto se questo viene conculcato.
Probabilmente è da ricercarsi qui la più grave ed impellente delle ragioni che hanno indotto l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a proclamare il 1970 "Anno Internazionale dell'E-ducazione". L'ONU vincola primariamente alla scuola il progresso e il benessere dell'umanità e, in tutte le nazioni, invita i responsabili del settore educativo a prestarvi la massima attenzione.
Accettiamo questo pressante invito per fare anche noi, modestamente, qualche considerazione, per trarne qualche utile conclusione. Il tempo richiederebbe ampia meditazione. Ci limiteremo a quegli aspetti del processo educativo che ci riguardano da vicino e che ci offrono spunti per delle conclusioni più pratiche che teoriche.
A tutti è noto che il mondo della scuola da tempo va occupando e inquietando l'opinione pubblica mondiale. Più forse nei paesi cosiddetti "sviluppati" che negli altri. "Se andiamo di questo passo, nel duemila saremo anche noi dei sottosviluppati", afferma un docente universitario tedesco.
Simili voci allarmanti si fanno sentire dappertutto ed invocano riforme coraggiose ed intelligenti. La giovane generazione preme in questo senso chiedendo impostazioni nuove; nella scuola essa si sente troppo ancorata al passato, mentre deve vivere in una società che è come un treno lanciatissimo nel futuro.
E' un fatto acquisito che la rapida evoluzione della scienza e della tecnica richiede un continuo aggiornamento. Se in passato l'esistenza d'un individuo si concepiva come divisa in due periodi nettamente distinti, quello scolastico dapprima e quello della professione poi, oggi si rende necessario anche alle persone adulte un costante lavoro di ricerca e di perfezionamento. Chi si ferma, è già superato, è già vecchio. L'educazione permanente, "longlife Internazionale dell'Educazione". L'ONU vincola primariamente dell'uomo moderno, cioè la scuola si prolunga per tutta la vita o meglio tutta la vita diventa scuola. Quest'esigenza di vedere e sentire l'educazione, spinge la scuola, com'è da noi intesa, a mettersi su un binario diverso da quello tradizionale. Al riguardo, è già avvenuta una prima formidabile innovazione nel considerare la scuola non più uno strumento di selezione o un privilegio. Suo ruolo specifico è nell'orientare l'alunno, ogni alunno. Questi cioè deve essere in seguito, dopo il periodo tipicamente scolastico, in grado di continuare da solo, in modo equilibrato e positivo, il suo processo educativo.
Ora si sollecita un ulteriore passo innanzi. Non si tratta di rendere più persuasiva l'opera dell'insegnante o più redditizia la fatica dell'alunno: il problema è di portare l'uno e l'altro su un piano di profonde relazioni personali e di integrazioni, in stretto contatto con l'ambiente storico e sociale in cui si vive. Si domanda con ciò agli insegnanti e agli alunni un deciso cambiamento di metodo e di mentalità. Il che non è facile per nessuno.
La lezione espositiva, frontale, dove l'insegnante spiega e l'alunno ascolta, anche se non va bandita del tutto, non può più essere la norma pedagogica. Nella circolare del Ministro della P.I. del 2.1.1970, si sottolinea opportunamente che "il programma non è un elenco di argomenti da svolgere tutti, ma un campo di lavoro, in cui si debbono operare delle scelte". Se la scuola è vista e sentita ai nostri giorni come l'istituzione che deve mettere l'alunno nella condizione migliore di scoperta "education", come dicono gli inglesi, s'impone come esigenza anche la lezione, più che a tramandare una cultura, deve allenare l'alunno al ripensamento personale e all'esame critico. All'alunno si offrono con ciò i mezzi per risolvere problemi dati e proporne di nuovi. E' il metodo migliore, più sicuro per dare all'alunno una visione critica della società e della vita; ma non è un metodo facile per nessun insegnante.
Se in passato l'insegnante aveva il monopolio dell'istruzione, oggi non più. I mezzi di comunicazione, audiovisivi e soprattutto l'insegnamento programmato, offrono rapidi vantaggi e sono ormai facilmente accessibili anche ai piccoli alunni. Perciò la scuola assume un nuovo ruolo che non è più caratterizzato dall'insegnamento "ma nell'apprendimento". In altre parole, lo sforzo dell'insegnante non è più diretto a trasmettere conoscenze sempre più vaste, ma a scoprire le attitudini dei propri alunni, a far sì che queste si manifestino e si sviluppino; mira quindi a formare intelligenze equilibrate e creative, in grado di inserirsi felicemente nella dinamica di quei cambia-menti così rapidi e spesso radicali che la società contemporanea presenta.
Ma per aver successo, lo sforzo degli insegnanti deve trovare un correspettivo da parte degli alunni. La scuola non è facile oggi meno che mai. La scuola non va sentita dagli alunni come un'imposizione o una mezza scocciatura a cui si è sottoposti dalla famiglia o dalla società: è una scelta personale anzitutto, per diventare poi un incontro di stima e fiducia reciproca con gli insegnanti. Non va considerata una tappa, scabrosa e antipatica, di preparazione ad una professione, ma un'importante prima ricerca per essere veramente uomini, E' già vita essa stessa!
Il Direttore
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