Intervista a Enrico Dalponte
Nipote di
monsignor Lorenzo Dalponte
“Mio zio era
un grande ottimista”
Chi era per lei
monsignor Dalponte?
Per
me era quel zio un po' lontano che tornava ogni tanto in valle
specialmente durante l'estate. La sua base era a Trento, era quello
il suo mondo e lì aveva i suoi contatti. Nonostante questo aveva un
bellissimo rapporto con i nipoti che amava moltissimo e chiamava con
il nomignolo di “principino/a”. Appena tornava da Trento veniva a
prendermi all'asilo e mi portava a casa. Quando tornava a Vigo
Lomaso, io in quel periodo frequentavo le scuole elementari, sapevo
già che avrebbe controllato i compiti e noi nipoti appena vedevamo
che stava parcheggiando la macchina nascondevano i libri perché non
volevamo fare i compiti.
Noi come famiglia abbiamo
scoperto l'importanza delle sue ricerche e delle sue opere dai libri.
Ricordo che quando presentò il suo primo libro nessuno della nostra
famiglia andò alla presentazione. Lui non faceva pesare l'importanza
delle cose che faceva e con grande umiltà non pubblicizzava e non si
vantava mai in famiglia di quello che faceva.
Inoltre era sempre
meravigliato di tutte le cose; negli ultimi tempi veniva a cena qui
da noi nel fine settimana. Pregavamo insieme prima di cena; mangiava
di tutto e metteva tutto assieme nel piatto dalle patate alla pasta.
Scriveva molte lettere e biglietti ai nipoti in occasione del
compleanno o per le festività religiose.
Cosa ricorda degli
anni trascorsi al collegio Arcivescovile durante la presidenza di
monsignor Dalponte?
Era una persona che
sapeva rapportarsi con i giovani. Dei cinque anni che ho trascorso
presso il collegio arcivescovile mi è rimasto veramente un bel
ricordo. All'inizio della mia permanenza all'arcivescovile cercavo di
mantenere le distanze perché vedevo nel maestro/preside colui che
riprendeva e faceva studiare gli alunni, come ero abituato da quelli
che avevo avuto precedentemente. Invece solo dopo qualche mese mi
resi conto che lo chiamavano “zio” come soprannome ma
inizialmente pensavo che lo chiamassero così perché io ero
presente. Invece mi accorsi dopo che era il suo soprannome e credo
che già questo sia indicativo del rapporto positivo che sapeva
instaurare con i ragazzi.
Talvolta in classe
succedeva che qualcuno esagerava e veniva mandato dal preside.
Nonostante la sua autorevolezza alla fine del colloquio con mons.
Dalponte si finiva sempre con una tasca piena di caramelle. Ricordo
che questo accadeva anche quando ero in quinta liceo.
Fu sempre un grande
ottimista; non sentii mai nessuno dei miei compagni offenderlo o
prenderlo in giro. Sapeva toccare i tasti giusti delle persone e
aveva un bellissimo rapporto con gli studenti.
Mi
raccontò in confidenza che quando faceva consiglio di classe con gli
altri professori per decidere i voti degli studenti era sempre una
battaglia perchè lui avrebbe sempre voluto aiutare gli studenti in
difficoltà e alzare i voti più bassi. Aiutò anche varie famiglie
perché molti non si potevano permettere di andare a studiare a
Trento. Riceveva moltissime lettere dai suoi ex studenti che gli
raccontavano come procedevano gli studi e lui rispondeva dando
consigli ed esortandoli a proseguire nel cammino intrapreso.
Mi
ha colpito tantissimo la grande quantità di gente e di ex studenti
che è passato a salutarlo per due giorni nella camera mortuaria; a
significare ancora una volta il bel ricordo che ancora avevano di
questa figura.
Che rapporto aveva don
Dalponte in gioventù con il fratello Federico?
Ricordo
che durante gli anni di studio Lorenzo tornava a casa ogni 3-4 mesi e
aveva un fratello più piccolo a cui era molto legato. Quando doveva
ripartire non riusciva mai a salutare il fratello poiché Federico si
nascondeva perché si intristiva nel veder partire il fratello.
Federico morì poi a soli 12 anni per una malattia e fu un duro colpo
per don Lorenzo.
Che rapporto aveva
mons. Dalponte con i genitori?
Era
molto legato alla mamma poiché il papà era un uomo molto forte di
carattere e non instaurava molto dialogo con i figli nonostante gli
volesse molto bene. Il padre faceva il contadino ed era emigrato in
America prima della II guerra mondiale. Ritornò in patria per
trovare la sua famiglia proprio all'inizio della guerra, fu reclutato
nell'esercito e non poté più tornare in America.
Ricordo
anche che la mamma era anemica e nell'ultimo periodo anche il cuore
era debole. Don Renzo tornò talvolta dalla Svizzera durante la
gioventù per donarle il sangue.
Che rapporto aveva
mons. Dalponte secondo lei con gli Schützen?
Alla
luce dei suoi studi storici lui voleva porre fine alla falsa
conoscenza secondo cui gli Schützen erano visti con diffidenza da
molti trentini. Considerava gli Schützen come i partigiani del
nostro territorio e diceva che non bisognava confonderli con le S.S.
tedesche. Inoltre era molto legato ai valori di onestà e di amore
per la terra trentina che erano alla base dell'ideologia degli
Schützen.
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