giovedì 4 aprile 2013

La fede nei nostri giovani

Considerazioni per genitori ed educatori 
Annuario del Collegio arcivescovile 1966-1967, n. 33°, pp. 57-59


"La fede è ciò che oggigiorno costituisce 
l'impegno e la caratteristica della vita cristiana"
K. Rahner

Di ciò i nostri giovani ne fanno l'esperienza già prima di porsi chiaramente la fede come urgente problema di coscienza, per le molteplici domande che, pro o contro la fede, insorgono dal mondo scientifico e storico ch'egli va scoprendo e analizzando. E non è raro il caso ch'essi si pongano di fronte al fenomeno religioso in sé e alla religione cristiana in ispecie in posizione di critica e richiedano ulteriori spiegazioni per la loro accettazione. Le stupende vittorie della scienza e della tecnica danno inavvertitamente ai nostri giovani l'idea della loro autosufficienza e della possibilità di attuare da soli la loro piena realizzazione e concorrono a far sì ch'essi non sentano il bisogno di Dio o d'una salvezza e non avvertano più la necessità d'una dipendenza da Lui. 
Da qui, per molti giovani, l'inizio d'una maggior coscienza del problema della fede; da qui traggono origine le prime domande se la fede è qualcosa di effettivamente valido ed efficace nella vita, e la prima occasione per una discussione collettiva o per un ripensamento personale delle sue forme e del suo contenuto. Si avverte anzitutto che la fede non è tanto un complesso di verità da accettarsi come vero, quanto piuttosto un impegno personale, una relazione intima tra l'uomo e Dio, "un'alleanza" insomma come ci è descritta nel mondo biblico. Gli argomenti tradizionali, della teologia fondamentale, con le lunghe e complesse dissertazioni nella conoscenza di Dio, dell'uomo e del mondo, non hanno mordente, pur nella loro stringente logica e non sono visti in primo piano. L'unico motivo della fede si pone, per molti giovani, immediatamente: è e resta Dio, grande e onnipotente, del cui essere e della cui sapienza vogliono accertarsene, non tanto in forza di astratte dimostrazioni quanto per un'esperienza più diretta e personale. 
Questa loro posizione, come abbiamo già accennato, non è affatto nuova, è anzi assai vicina a quella dell'uomo biblico, nel suo incontro personale con Dio creatore e rivelante e nella risposta ch'egli, come creatura, è tenuto a dare alla voce di Dio. Può quindi offrire inaspettate e confortanti sorprese per la soluzione del problema della fede in un giovane, perché in definitiva, alla fede ognuno deve una testimonianza personale e decisa, e qualche volta, come nei martiri, addirittura eroica. 
Quando un giovane, con serietà e senza posa, afferma «di non poter più credere», è necessario studiare con calma questo suo atteggiamento e il significato di questa affermazione. Se sorprende, è però pur sempre utile all'esistenza stessa della vera credenza in Dio, e ne vedremo come. Per ora, di fronte a simile affermazione, la prima cosa da evitarsi da parte di un genitore o di un educatore è di non fare gli scandalizzati, per togliere al giovane la possibilità d'esprimersi liberamente e rendere magari impossibile un aiuto nella soluzione del suo problema religioso. Il più delle volte, questo giovane «non crede» con quel tipo di fede che genitori ed educatori gli hanno insegnato. Nega una fede, ma tale negazione riguarda il più delle volte le concezioni false o inadeguate che circolano in un certo ambiente. È più un giudizio di insoddisfazione sull'idea corrente di Dio. Si afferma cioè, di non poter accettare la fede serena e poco problematica della generazione adulta. 
Per questa fede un giovane sa trovare anche parole di ammirazione e d'invidia, ma non si sente di imitarla e farla sua. Chi lavora e vive tra giovani sa di poter documentare con dovizia questa situazione. Quel tipo di fede o di certezza che genitori o educatori hanno raggiunto, richiede un altro ambiente che oggi non c'è, un ambiente più statico e più rispettoso del singolo. Oggi il giovane vive la sua epoca sotto il segno dell'incertezza interiore, alla ricerca d'una sua via. Di noi adulti non lo impressiona il fatto che nella nostra esperienza abbiamo raggiunto delle certezze valide, ma la sperimentazione sofferta se riesce ad intravvederla, delle vie e dei modi con cui noi abbiamo conseguito tali certezze. 
L'espressione «non posso credere», trova un'ulteriore spiegazione anche nel fatto che alla fede di un adolescente si pongono oggi compiti e quesiti più vasti e più impegnativi. In genere, alla sua età, le obiezioni contro la fede non sono determinate da cattivo spirito, ma da sentimenti di serietà e di maturità. Sono normalmente obiezioni di ordine intellettuale, come il problema del male nel mondo, l'ingiustizia, la libertà dell'uomo davanti a Dio, il senso dell'esistenza e il suo destino, il perché delle religioni ecc. Sono obiezioni che da solo difficilmente riesce a risolvere; va aiutato con premurosa intelligenza, anche perché non confonda i dubbi contro la fede con la perdita stessa della fede e non conchiuda che è già «senza fede» perché trova delle difficoltà a credere ad alcune verità religiose. 
Non va inoltre dimenticato che la posizione di un giovane di fronte alla fede è in stretta relazione con il suo concetto di autorità. Se un fanciullo accetta ancora una ubbidienza pronta e fiduciosa, il giovane è più autonomo e più ribelle ad un comando e ad un'imposizione, se prima non ne ha conosciuto la ragione e il significato. Non sorprenda dunque, se nel lento maturarsi d'una fede ch'egli intuisce come dipendenza e vincolo, sottopone al vaglio critico le ragioni pro e contro. 
E non è ancora da escludersi che non esista una strana relazione tra il mondo della sua fede e la facile abbondanza di ogni bene offertagli dalla società contemporanea. Un'indipendenza materiale, determinata da famiglie più danarose, da vacanze di lavoro retribuite, da borse di studio, non facilita certamente il problema della dovuta dipendenza da Dio. Sarebbe perciò ingiusto ascrivere a colpa delle famiglie o della scuola se l'insegnamento della religione non ha tanta incidenza nell'animo d'un giovane e non ne feconda la sua vita quotidiana. Vi sono oggi forze nuove e contrastanti, derivate da particolari situazioni, con le quali deve fare i conti ogni genitore ed educatore. 
Per tornare alla nostra tesi, ci pare che la fede di un giovane svanisce quando viene a mancare quel rapporto personale, intimo di Dio, di Dio come «partner» d'un dialogo e d'un incontro d'amore. Che Dio esiste e ci vuol bene, è la verità stupenda che va in mille modi ripetuta ad un adolescente. Dobbiamo ripetere ai nostri giovani che essi hanno da fare con un Dio che li ama, e dobbiamo aiutarli ad incontrarlo, a dare del «Tu» a questo onnipotente Dio, che non si impone a nessuno perché ha messo una scintilla della sua divinità nella libertà umana, che non può essere oggetto d'un'esperienza empirica perché Dio non è un problema ma un inebriante, e misterioso Essere, che dal suo silenzio — uno dei segni paradossali della sua realtà — si manifesta per ogni creatura provvido e misericordioso. E quanto da senso e ordine alla vita! E' la scoperta, alla quale possono venir facilmente orientati i nostri giovani, proprio perché ad essa sono inclini; cioè non tanto alla scoperta delle grandi verità teologiche, quanto alla scoperta d'un'amicizia con Dio, semplice e immediata. 
E' una scoperta e una conquista che noi adulti dobbiamo ripetere con i nostri giovani, in un dialogo sincero e fraterno, dove essi possano conoscere il travaglio che ci ha portato ad essa, come ad una fonte di luce, di energia e di gaudio. 
A questa scoperta della fede come norma e concezione di vita, il giovane non vi arriva improvvisamente. Sarebbe un miracolo della grazia questo! Il più delle volte vi arriva dopo un cammino incerto, faticoso e anche doloroso. Scoprirà solo più tardi che la fede è la necessità suprema, la bellezza e la salvezza della vita. Allora diventerà la fede «matura e granitica» dell'uomo adulto! Per un adolescente, basta che la sua fede, anche se debole ed esitante, sia sincera e autentica, basta che egli «cerchi» solo di credere, perché anche così è un credente, caro al cuor di Dio. 
Il cammino, dall'ubbidienza spontanea del bambino all'accettazione libera e cosciente della fede, è di solito lungo e abbisogna di molta pazienza; si direbbe che abbisogna di tutta la ricchezza del Cristianesimo, fatto di verità, carità e grazia. La fede, come atto di fiducia nella parola del Signore, vissuta con confidente e coraggiosa semplicità è una cosa grande e impressionante. Davanti ad un atto di fede era scosso e commosso anche Gesù. Un atto di fede porta con sé verità esaltanti e liberatrici, che il piccolo e tempestoso mondo di un adolescente può appena intravvedere. Più tardi quando sentirà la sua fede forte e sicura, troverà luce e speranza e sentirà che solo essa è la base e la ragione, d'ogni grandezza umana. 
«Adoro, ergo sum», ha scritto Gertrud von Le Fort, in meravigliosa sintesi. 
Don L. Dalponte - Dir. 


Nessun commento:

Posta un commento